Negli ultimi anni, il concetto di lavoro è cambiato profondamente. Lo smart working ha permesso a migliaia di professionisti e imprese di riorganizzare tempi e spazi, ma ha anche messo in luce nuove sfide: isolamento, perdita di motivazione, burnout. Parallelamente, lo spopolamento delle aree interne ha reso urgente ripensare non solo dove lavoriamo, ma come il nostro lavoro può generare valore per le persone e per i territori.
È in questo scenario che nasce NATworking, che promuove un modello innovativo di co-living e co-working in natura, capace di coniugare benessere lavorativo, sviluppo locale e sostenibilità. Abbiamo intervistato Francesca Albera e Chiara Guidarelli del team di NATworking per capire meglio come funziona il progetto e quali opportunità offre a freelance, remote workers e comunità locali.
Cos’è NATworking e quali obiettivi vi guidano nel lungo periodo?
“NATworking è un’associazione di promozione sociale che coniuga due obiettivi: favorire la valorizzazione territoriale e l’attivazione di comunità nelle aree rurali e interne, e nel frattempo supportare il benessere psico-fisico di giovani professionisti e professioniste che aspirano a sperimentare nuove modelli di lavoro e di vita.
Quello che facciamo è attivare esperienze di co-living e co-working nelle aree montane e rurali e promuovere spazi ibridi già attivi, favorendo la scoperta dei territori e la destagionalizzazione delle strutture ricettive. Portiamo avanti anche progetti di sviluppo locale, rigenerazione territoriale e innovazione sociale per favorire l’incontro e lo scambio tra le comunità locali e i remote workers, potenziali nuovi abitanti.”

Com’è nata l’idea di fondare NATworking e quali sono state le prime sfide nel trasformarla in realtà?
“L’idea è nata dalla nostra esperienza personale: lavoravamo troppo e spesso in ambienti poco adatti, rendendoci conto che il lavoro da remoto – con solo un PC e una connessione – non garantisce automaticamente una migliore qualità della vita, soprattutto per i più giovani. Allo stesso tempo, in Italia esistono spazi sottoutilizzati in aree montane e rurali, ricchi di risorse naturali e culturali, ma soggetti a spopolamento.
Abbiamo visto in questo contesto un’opportunità.
Con un background nella rigenerazione urbana, nel design e nell’innovazione sociale, ci siamo interessate a creare un legame tra processi di attivazione territoriale e il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dei giovani remote worker, offrendo stili di vita più equilibrati e connessi alla natura.
Così è nato NATworking: un progetto con l’obiettivo di migliorare la qualità del tempo dedicato al lavoro (NATworking), favorire nuove relazioni (NETworking) e valorizzare il tempo libero (NOTworking).
Le sfide sono state e sono diverse, tra le prime probabilmente identificare la forma giuridica adatta al tipo di progetto e/o movimento che abbiamo creato e la ricerca di una sostenibilità economica.”
Cosa significa per voi “benessere lavorativo” e come si può concretamente favorirlo nella quotidianità?
“Il benessere lavorativo può avere significati diversi per ogni persona. Per noi significa soprattutto cercare un equilibrio adeguato tra lavoro e vita personale. Non esistono formule standard, ma attraverso le nostre attività cerchiamo di mettere in luce come, a volte, cambiare scenario e soprattutto concedersi un’esperienza condivisa possa fare una grande differenza per lavorare meglio e ricaricare le energie.
Per cambiare scenario intendiamo un luogo connesso con la natura, dove sperimentare una quotidianità diversa rispetto a quella cittadina, prendendosi ad esempio una pausa per una camminata nel bosco, o una chiacchiera nei prati o lungo un torrente.”
Il fenomeno del burnout è sempre più diffuso, soprattutto tra freelance e lavoratori digitali: quali strategie possono aiutare a prevenirlo?
“Conosciamo bene la realtà dei freelance e dei lavoratori digitali, che spesso si trovano a gestire da soli tempi, spazi e carichi di lavoro. Dalla nostra esperienza abbiamo visto che alcune attenzioni possono davvero fare la differenza nel prevenire situazioni di malessere.
Prima di tutto, non isolarsi: dedicarsi a momenti di co-working o semplici occasioni di confronto con chi vive sfide simili aiuta a sentirsi parte di una comunità. Un altro aspetto fondamentale è imparare a staccare: in lavori dove i confini tra vita personale e professionale tendono a sfumare, prendersi pause, coltivare interessi extra-lavorativi e svolgere attività rigeneranti è indispensabile per mantenere l’equilibrio.
Infine, evitare la ripetitività: sperimentare nuove routine e nuovi ritmi, lavorando in contesti diversi dalla città e più a contatto con la natura, può avere effetti davvero trasformativi.”
Quali sono oggi le principali difficoltà dei freelance (solitudine, vita sedentaria, mancanza di confronto)?
“Un aspetto che può rendere la vita dei freelance più difficile spesso è la scarsa consapevolezza delle potenzialità che questo tipo di lavoro offre. Molti remote workers finiscono per lavorare dal divano di casa senza rendersi conto che è possibile organizzare le proprie attività in contesti che favoriscono benessere, concentrazione e motivazione.
Prendere coscienza di queste possibilità, sperimentare nuovi luoghi e modalità di lavoro, può davvero trasformare l’esperienza quotidiana del lavoro da remoto e renderla più stimolante, sostenibile e generativa.”
In che modo NATworking aiuta a superare queste criticità e a creare reti di supporto tra professionisti?
“NATworking è innanzitutto una comunità. Siamo partite con una piattaforma online per dare visibilità a spazi di co-working e co-living sottoutilizzati nelle aree interne. Dopo poco, però, ci siamo rese conto che l’aspetto più importante erano le persone stesse: così abbiamo iniziato a organizzare esperienze di co-living e co-working in contesti rurali e montani, le famose NATweek, pensate per favorire scambi generativi tra le professioniste/i che partecipano e con le persone che animano le comunità dei luoghi ospitanti.
Più di tutto, ci interessa creare relazioni e fare rete, perché è il modo che più ci appassiona e che riteniamo fondamentale per far nascere nuove opportunità e favorire il superamento di momenti critici.”

Uno degli obiettivi di NATworking è rigenerare borghi e valli quasi abbandonate con esperienze di co-living e co-working: secondo voi quali condizioni devono cambiare per far rinascere davvero questi luoghi?
“Sappiamo che abitare le aree interne, in modo permanente o temporaneo, richiede innanzitutto la possibilità di accedere ad alloggi, e questo non è affatto scontato. Molti immobili sono seconde case, oppure hanno una proprietà così frammentata da rendere difficile rintracciare i proprietari. Questo limita la possibilità e allunga molto i tempi per trovare un’abitazione disponibile ed è una condizione che abbiamo rilevato con grande frequenza.
Altro aspetto fondamentale è la presenza di persone e la possibilità di incontrarle, evitando il rischio di essere isolate e isolati in luoghi immersi nella natura, ma poveri di socialità.
Infine, resta la necessità di poter contare su servizi adeguati: dalla mobilità alla connettività, dai presidi sanitari alle occasioni culturali. Servizi indispensabili per rendere questi luoghi davvero vivibili e attrattivi anche per chi potrebbe sceglierli come nuova casa.
Nel nostro percorso abbiamo incontrato tante realtà, come cooperative di comunità e associazioni, che lavorano per valorizzare i territori, partendo da settori diversi, dalla cultura alla formazione, fino al cibo. Iniziative capaci di generare innovazione e nuove opportunità. Sono le persone e la forza dei progetti condivisi a fare davvero la differenza.”
Quali opportunità concrete portano queste esperienze sia ai lavoratori da remoto sia alle comunità locali?
“Lo scambio e la creazione di relazioni restano l’aspetto centrale. Per le lavoratrici e i lavoratori da remoto significa scoprire nuovi territori, sperimentare uno stile di vita alternativo e soprattutto entrare in contatto con realtà e persone che altrimenti non avrebbero potuto conoscere.
Possono anche sperimentare in modo sicuro e condiviso nuove modalità di lavoro, e approcci più sostenibili alla propria quotidianità. Per le comunità locali, invece, rappresenta un’opportunità di aprirsi a nuove competenze e prospettive, valorizzare i propri territori e, in alcuni casi, avviare micro-economie legate all’ospitalità, ai servizi e alla cultura.
Si tratta di un arricchimento reciproco, che coinvolge tanto chi arriva quanto chi accoglie, e che può innescare innovazione e nuove connessioni durature. Spesso le comunità locali sono anche felici di vedere movimento e volti nuovi!”

Avete esempi di storie virtuose in cui l’incontro tra remote workers e comunità ha generato un impatto positivo?
“Esperienze temporanee come le NATweek spesso riescono a innescare opportunità e relazioni che vanno oltre la durata dell’esperienza. Chi partecipa sviluppa il desiderio di tornare nei luoghi, coltivare le relazioni create e costruire progettualità condivise. Per non disperdere queste energie, cerchiamo di continuare a collaborare con realtà e associazioni dei territori, costruendo insieme progetti comunitari e workshop.
In Valle Grana, ad esempio, è nato un progetto di co-living tra alcuni membri dell’associazione, ex partecipanti della NATweek, per vivere e lavorare in maniera più consistente il territorio, interrogandosi sul tema dell’abitare condiviso, sulla relazione con il territorio, ma anche sulla dimensione personale. Da questa esperienza è nato il progetto “(S)veglia”, un percorso di co-progettazione che esplora nuove forme di abitare in montagna e la generazione di servizi collaborativi.”
Qual è il vostro sogno per NATworking?
“Creare una rete sempre più ampia di persone che lavorano in modo diverso, più consapevole e relazionale, capace di generare valore sia per le persone sia per i luoghi.
Vogliamo che il lavoro non sia solo un’attività da svolgere, ma un’occasione per creare relazioni, scambi generativi e comunità, contribuendo al benessere individuale, all’innovazione sociale e alla rigenerazione territoriale.”
Dal lavoro alla comunità: il valore del cambiamento
Il modello di co-living e co-working in natura promosso da NATworking dimostra che digitale ed ecologia possono camminare insieme: da un lato nuove tecnologie che abilitano lo smart working, dall’altro un modo di lavorare che valorizza le comunità più piccole e favorisce la sostenibilità.
Ed è proprio su questa doppia transizione – digitale ed ecologica – che lavora ogni giorno Sportello Digitale, supportando professionisti e PMI italiane in percorsi di innovazione responsabile e di crescita sostenibile.
Se vuoi scoprire come ripensare i processi aziendali e avvicinare la tua impresa ad un modello più innovativo e sostenibile, compila il form sottostante per richiedere una consulenza gratuita: insieme possiamo ricostruire il futuro del lavoro e delle imprese italiane.
Articolo scritto in collaborazione con Chiara Guidarelli e Francesca Albera, team NATworking.

